Il mio linguaggio d’arte SIGNA, non deve essere confuso con quel “geotagging” introdotto al pubblico con Google Earth che serve ad associare a ciascuna fotografia le sue coordinate geografiche.
I miei graffiti tecnoprimitivi SIGNA non sono geotagging, cioè foto di miei disegni appiccicate in mappa.
Ho cominciato a pubblicare i miei SIGNA prima che uscisse Google Earth e i miei sono disegni creati direttamente con tracciati georeferenziati in mappa elettronica.
Formano delle narrazioni con segni immateriali grandi da pochi metri a migliaia di chilometri. Sono visibili su desktop e attraversabili in AR nello spazio reale, con l’app che uso da due anni e che presto metterò a disposizione del pubblico.
Con questa app, che ho sviluppato con Martin Koppenhofer, il pubblico può interagire in mobilità con le opere site specific SIGNA che attraversa, lasciando e condividendo la propria scia.
L’opera d’arte immateriale, tramite il data base del sistema SIGNA, comincia ad accumulare una propria memoria a partire da chi e da come viene attraversata nello spazio reale.
È come se la Gioconda ricordasse chi, quando e dove qualcuno l’ha guardata e che Leonardo l’avesse creata a tal fine.
Questo è uno degli aspetti interessanti del linguaggio d’arte SIGNA.